di Dan Doriani
È una battaglia vivere la nostra fede in pratica, ma lo possiamo vedere in modi che hanno più a che fare con meccanismi secolari che con le Scritture ed oscurano l’insegnamento che la nostra vita può mostrare la bellezza della vita in Cristo e del suo Vangelo.
C’è una tendenza nei circoli cristiani oggi di enfatizzare le battaglie, le afflizioni, le ferite, le difficoltà ed i fallimenti. In alcuni sensi questo è lodevole e corregge gli effetti funesti del vangelo della prosperità e del lieve perfezionismo. Un falso accento sulle vittorie dei credenti presenta un ideale impossibile e tende a mettere in silenzio le persone che temono che le proprie battaglie rappresentino delle aberrazioni vergognose, così che decidono di non poter cercare aiuto. Al di là di questo, le Scritture ci incoraggiano ad essere realisti. Con dozzine di salmi caratterizzati da lamenti, confessioni e candidi racconti di afflizioni subite da eroi della fede, da Abraamo a Paolo e Gesù, abbiamo ampie ragioni per affermare che essere discepoli è arduo.
Nondimeno, un’enfasi costante sulle battaglie e le afflizioni non rappresenta fedelmente la teologia biblica. Siamo chiamati a crescere in fede, come ha fatto Abraamo (Romani 4:20; 2 Tessalonicesi 1:3) e dovremmo mettere da parte il peccato che ci attanaglia (Ebrei 12:1), gettare via le “opere delle tenebre” (Romani 13:12) e “svestirci” del vecchio essere con i suoi “desideri ingannevoli” (Efesini 4:22-23). Per essere più diretti, i credenti possono e devono crescere moralmente e spiritualmente. Dovremmo aspirare a crescere verso maturità e non è superbo riconoscere che stiamo facendo progresso, né è sbagliato indicarlo; per esempio: “Un anno fa avrei perduto la pazienza ed il controllo, invece di evitare”.
Negli anni recenti, comunque, sembra essere sempre più difficile dire: “Sto facendo progresso” oppure “Sto vivendo in modo soddisfacente” (Salmo 16:6). Viviamo in un contesto culturale caratterizzato dalle lamentele, in cui onoriamo le vittime e accusiamo i privilegiati, e le persone non sono pronte a dire pubblicamente di avere una buona famiglia o una buona cultura, oppure di avere delle buone abilità di mercato e risorse emotive, con cui riescono a vivere senza ansie e problemi. No, le persone sono più tendenti, piuttosto, a gridare e farsi sentire a proposito delle loro sofferenze, pronte sempre a fare paragono e declamare una maggiore quantità di dolori, delusioni e difficoltà di ogni tipo. È diventata un’abitudine, ma sappiamo anche che quelli che soffrono ricevono il marchio dell’autenticità e quindi acquistano il diritto di essere ascoltati.
È necessario mettere tutto questo in discussione e molti hanno cominciato a farlo. Nel 2018 l’attrice Ali Wentworth ha scritto un articolo chiedendo: “Quando un matrimonio felice diventa un taboo?” (1). Poi ha iniziato un’apparente confessione: “Io ho un piccolo indicibile segreto: ho un matrimonio felice. Forse sarà l’atteggiamento più noioso da sentire per chi ascolta, ma non posso farci nulla! Io amo mio marito e mio marito ama me”. Purtroppo questo l’ha resa poco interessante nella società dei pettegolezzi e degli scandali; quando si parla di matrimonio, lei ha detto che si sente invasa dall’ansia, dal momento che non si sente a suo agio, si sente un “pesce fuor d’acqua”, in un percorso “contro-corrente”. Un critico musicale ha suggerito che il 1991 è stato l’anno in cui il discorso musicale è cambiato, anno in cui c’è stato il Grunge Rock, guidato da Eddie Vedder e Kurt Cobain e le loro canzoni contro la felicità, a proposito degli abusi, della violenza, delle droghe, della guerra e della depressione hanno improvvisamente fatto mercato e prevalso. (2)
È un inganno, però, soccombere a questa mentalità per almeno tre motivi. Primo, le Scritture invitano e lodano i figli di Dio ad essere riconoscenti e a permettere alla gratitudine di riempire il loro cuore e la loro bocca. Dovremmo essere sempre pronti a cantare “Anima mia, benedici il Signore e non dimenticare alcuno dei benefici suoi” (Salmo 103:2) e la lode non dovrebbe essere confinata all’adorazione comunitaria. Quando lo Spirito di Dio ci riempie, noi siamo pronti a ringraziare “sempre” (Efesini 5:18-20). Anche i salmi con lamenti terminano con gratitudine o trionfo, quasi ogni volta:
“Molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia gioventù,
lo dice pure Israele,
molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia gioventù;
eppure non hanno potuto vincermi…
Il Signore è giusto;
egli ha spezzato le funi degli empi” (Salmo 129:1-2,4).
Secondo, le Scritture insegnano ai discepoli che la loro vita può e deve adornare il Vangelo e permettere che la sua bellezza si manifesti. Paolo disse a Tito, il suo formidabile rappresentante: “Presentando te stesso in ogni cosa come esempio di opere buone” ed ha esortato donne e servitori a fare lo stesso in modo che potessero adornare la dottrina di Dio nostro Salvatore (Tito 2:7-10; 1 Timoteo 2:9; 1 Pietro 3:5). Nel modo migliore possibile, dice Gesù, dobbiamo cercare di fare brillare la nostra luce così che il mondo possa vedere le nostre buone opere e glorificare il Padre nostro nei cieli (vedere Matteo 5:16).
Terzo, come suggerisce Matteo 5:16, una vita bella può portare all’evangelizzazione. Man mano che i Cristiani vedono che il loro stato passa dalla “minoranza” alla “minoranza disprezzata”, devono considerare come avere a che fare con il mondo intorno. I metodi di apologetica classica dei decenni trascorsi hanno perso di efficacia, quasi nessuno vuole ascoltare l’evidenza della risurrezione fisica di Gesù ed è quasi impossibile avanzare il punto di vista biblico a sostegno del matrimonio e della sessualità nelle piazze pubbliche oggi. Questo aveva portato Rod Dreher ad avanzare la “Benedict Option” (l’opzione benedettina), la formazione quasi-monastica di comunità semi-isolate di fedeli che formano la loro vita senza la costanza intrusione di quest’era secolare. Dreher, che è il primo ad elencare le debolezze di questa proposta, spera che isole di fede e virtù possano preservare il Cristianesimo genuino (un po’ come hanno fatto i monasteri nel Medioevo) ed eventualmente rinfrescare le società che hanno perso la strada giusta.
Certo possiamo rispettare la visione centrale di Dreher senza per forza dover approvare il suo programma. Molti teologi protestanti credono che il miglior modo di trasmettere costruttivamente la visione biblica del matrimonio sia attraverso la pratica, non attraverso lezioni o corsi teologici (i Secolaristi non ascoltano); possiamo formare buoni matrimoni e famiglie sane e poi aprire la nostra casa. Per la grazia di Dio, noi possiamo adornare il Vangelo e vincere così le persone ad esso. Forse le persone non faranno le domande che noi ci aspettiamo o vogliamo: “Chi è Gesù?”, “Come posso vincere il problema del senso di colpa?” ma fanno, comunque, delle domande legittime: “Chi sono io?”, “La vita ha un significato?” “In che modo posso trovare la gioia, la forza, la realizzazione e la virtù che desidero?” (3) A motivo della nostra unione con Cristo e della grazia trasformante dello Spirito Santo, i credenti possono fare un progresso morale; possiamo impegnarci e sperare di gustare, senza fare un occhiolino ironico, una vita bellissima. Questo fa piacere anche a Dio ed è in accordo con la sua Parola, che dice chiaramente che coloro che confidano in Dio e si affidano ad essa trovano favore e successo dinanzi a lui ed agli uomini (vedere Proverbi 3:4,6). C’è da dire, inoltre, che il peccato intrappola le persone (Proverbi 5:23; 1 Timoteo 6:9) e la maggior parte prima o poi se ne accorge. Quando se ne accorgono possono mettersi a cercare delle alternative, osservano che le pratiche cristiane sembrano funzionare e iniziano ad esplorare la fede.
Allora sì, ammettiamo che affrontiamo delle battaglie, che abbiamo difficoltà, ma diciamo anche umilmente che grazie alla nostra unione con Cristo ed all’opera trasformante dello Spirito Santo, la nostra vita può essere bellissima e puntare, sebbene imperfetta, a Cristo.
- Di Ali Wentworth: “When Did a Happy Marriage Become So Taboo?” (“Quando è che un matrimonio diventa un tale taboo?” – Town & Country, 6 Aprile 2018).
- Di Brian Wawzenek: “In Defense of… R.E.M.’s Shiny Happy People” (“In difesa delle persone felici di R.E.M.” – Diffuser, 10 Novembre 2017).
- Vedere di Dan Strange: “Plugged In: Connecting Your Faith with What You Watch, Read, and Play” (“Connessi: Collegare la vostra fede con quello che guardate, leggete e giocate”).
Dan Doriani insegna Teologia ed Etica al Covenant Seminary; egli ha guadagnato il suo titolo di Master of Divinity a Westminster ed ha convinto tutti per un Ph.D. sia da Yale che da Westminster. Ha pasturato anche una piccola chiesa per 5 anni e poi una molto grande per 11 anni. Gioca a tennis, gli piace andare in bicicletta su per le montagne e giocare con i nipoti, oltre ad essere un oratore per svariate conferenze e scrivere libri. La sua opera più recente è stata: “Work: Its Purpose, Dignity, and Transformation” (“Il lavoro: suo scopo, dignità e trasformazione”).
Testo pubblicato originariamente sul sito di reformation21. Tradotto e riprodotto qui con l’autorizzazione da parte dell’editore Alliance of Confessing Evangelical. Il suo utilizzo totale o parziale è proibito in ogni forma previa richiesta e autorizzazione di SoliDeoGloria. Il contenuto del presente articolo non è alterabile o vendibile in alcun forma.
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