di William P. Farley

Ogni cultura assorbe e prende per scontati fatti che riguardano Dio e l’essere umano, fatti che diventano come occhiali attraverso i quali si vede poi la vita intera. La maggior parte delle persone sono tante volte inconsapevoli di indossare questi occhiali, o occhiali che sono diversi da quelli che impiegano o hanno impiegato altri di diversi luoghi e tempi storici, eppure la verità è che le nostre lenti culturali sono uniche e specifiche, e sono in continuo cambiamento. Negli ultimi decenni le nostre presupposizioni circa la natura umana hanno subito una trasformazione radicale. David Brooks descrive questo cambiamento nel suo libro “The Road to Character” (“La via al carattere”).

“Gli psicologi hanno una cosa indicata come test del Narcisismo. Essi leggono delle affermazioni alle persone e chiedono se tali affermazioni possono essere applicabili a loro, affermazioni del tipo ‘Mi piace essere al centro dell’attenzione… Mi vanto se ne ho l’occasione, perché devo far capire quanto sono bravo… Qualcuno dovrebbe scrivere un libro su di me’. Il punteggio medio del Narcisismo si è alzato di circa il 30% negli ultimi due decenni; il 93% dei giovani ricevono un punteggio superiore al punteggio medio di soli venti anni fa. Gli aumenti maggiori sono stati nel numero di persone che sono in accordo con l’affermazione ‘Io sono una persona straordinaria’ e ‘Mi piace guardare il mio corpo’”.[1]

Mentre questo può riflettere il modo in cui noi vediamo noi stessi, la Bibbia ha una posizione diversa a riguardo, ci presenta un punto di vista differente.

La natura umana
Le Scritture insegnano due verità principali a proposito della natura umana. La prima è che “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina” (Genesi 1:27). Dio ama la sua immagine e somiglianza, e poiché noi la riflettiamo abbiamo un valore inerente che egli ama; ecco perché il sesto comandamento dice di non uccidere (Esodo 20:13cf. Genesi 9:6). Il rispetto per l’immagine e la somiglianza di Dio è anche la base per i nostri diritti civili, nonché la base di ogni dignità umana. Ecco perché i Cristiani devono trattare gli altri con rispetto, perché devono rifiutare il razzismo, la crudeltà e l’oppressione verso i deboli e gli svantaggiati.
La Bibbia insegna anche, però, che il peccato d’Adamo ha prodotto un danno serio all’immagine e somiglianza a Dio. Siamo come una Toyota Camry che è stata coinvolta in un incidente frontale; l’auto originale è ancora lì, ma non è più come prima, è distorta, danneggiata ed ha bisogno di essere riparata. Allo stesso modo, la nostra capacità di essere moralmente come Dio, il cuore dell’immagine e della somiglianza a lui, è stata severamente distorta ed, ancora peggio, ci ha addirittura resi suoi nemici (Romani 5:10).

Ottimismo peccaminoso
Poiché la cultura occidentale contemporanea naviga ancora nella scia di una visione mondiale cristiana, tende a vedere la natura umana alla luce della prima verità mentre respinge poi l’insegnamento a proposito della caduta. Questo spiega la presupposizione ottimistica circa la nostra bontà umana e la nostra abilità di risolvere i nostri problemi sociali. Quest’ottimismo, inoltre, ha un fondamento falso. I progressi tecnologici dell’ultimo secolo sono stati davvero sconvolgenti, eppure ci hanno deluso e ci hanno spinto a prendere per scontato o presupporre che siamo anche migliorati a livello morale e spirituale. Niente, infatti, poteva o potrebbe essere più lontano dalla realtà. Certo, la tecnologia ha percorso una lunga strada, ma la natura umana è rimasta la stessa, non è cambiata, è ancora soggetta agli effetti della Caduta, cioè è rimasta egocentrica, orgogliosa e superba. Per queste ragioni, ed altre, siamo alquanto riluttanti a comprendere o accettare che Dio è adirato con i peccatori non redenti, e sono questi gli occhiali culturali che indossiamo.

Il problema dell’orgoglio
Nelle Scritture, troppa autostima, conosciuta come orgoglio o superbia, è un grande peccato. In pratica questo sentimento distorce la vera valutazione di sé stessi, rovina il rapporto con gli altri e, cosa ancora più importante, distrugge il nostro rapporto con Dio, anzi, a dire il vero, l’orgoglio provoca la sua ira. L’orgoglio è una fontana di miserie umane, spinge a guerre, divorzi, abusi, torture, razzismo ed un mare di altre malvagità. Dall’altra parte, l’umiltà è il pinnacolo delle virtù cristiane, i cui frutti sono la pace con sé stessi, con gli altri e con Dio. In breve, gli ultimi decenni hanno modificato le antiche presupposizioni culturali a proposito della natura umana, svoltandole addirittura al contrario. Oggi, infatti, si crede che una forte e grande autostima sia una buona virtù e che l’umiltà sia, piuttosto, una debolezza, persino una caratteristica negativa. Noi crediamo che una alta idea di sé stessi sia un buon fondamento per avere grandi virtù, mentre una bassa opinione di sé sia la causa di grandi errori e difficoltà sociali e personali. Se Isaia fosse vivo, ci direbbe la stessa cosa che disse all’antica Israele: “Guai a quelli che chiamano bene il male e male il bene” (Isaia 5:20).

Incentrati sulla croce
La croce di Cristo proclama entrambe le verità sulla natura umana. Prima, ci mostra quanto Dio odia l’arroganza e ciò che essa ha fatto alla sua immagine e somiglianza; essa conferma quanto profondamente l’orgoglio ci ha alienati da Dio. L’ira di Dio, infatti, è così grande che nulla potrebbe propiziarci nei suoi confronti eccetto che una sostituzione, ma un Sostituto c’è stato, uno che ha subito e sopportato sulla croce la terribile ira e l’ostilità che la nostra arroganza personale meriterebbe. Ecco a cosa giunge l’umiltà. Agli occhi di Dio noi non siamo le persone meravigliose che pensiamo o vogliamo pensare di essere, non meritiamo il suo favore né alcuna ricompensa da parte sua.
Ma la croce dimostra anche l’amore di Dio; nonostante la nostra arroganza ed il nostro orgoglio, e nonostante quello che meritiamo davvero, Dio ci ama. Ci ama perché ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Quanto ci ama? Tanto da mandare suo Figlio alla croce per subire dei tormenti infiniti; è stato torturato fino alla morte, nudo, presso il Golgota, per redimere e riscattare dei peccatori perduti in bisogno di una grazia infinita. Paolo ha fatto riferimento a questo fatto dicendo che si tratta di un “amore che sorpassa ogni conoscenza” (vedere Efesini 3:19).

Generazioni precedenti
Questo è il motivo per cui i santi del passato avevano dei presupposti diversi a proposito di Dio e della natura umana. Seduti ai piedi della croce, essi si sentivano simultaneamente umiliati ed amati; alla croce le passate generazioni erano unite nella convinzione che la vera virtù (e felicità) sgorga non dalla promozione di sé stessi, ma dall’umiliazione di sé stessi, non dall’innalzarsi, ma dall’abbassarsi. È proprio questo il posto dove anche i credenti del XXI secolo devono andare per indossare nuovi occhiali culturali.
Giovanni Calvino (1509-64), sistematizzatore della Teologia della Riforma, ha scritto: “L’opera della fede è di riempire l’anima con pensieri come questi: ‘Io sono nulla, un povero verme a disposizione di Dio, perduto, se non trovato da Cristo; non ho fatto e non posso fare nulla con cui poter meritare di essere accettato da Dio’”. [2]
Jonathan Edwards (1703-58), il grande teologo americano, ha scritto: “La natura della grazia e della vera luce spirituale è tale che dispone naturalmente i santi nello stato presente a guardare poco ad essa ed alla bontà, ed a guardare molto alle proprie deformazioni”. [3]
C. H. Spurgeon (1834-92), il grande predicatore britannico del XIX secolo, nonché importante teologo, ha scritto: “L’umiltà significa sentire che non si ha alcun potere in sé, ma che tutto ci proviene da Dio… Significa, infatti, annichilire sé stessi ed esaltare il Signore Gesù Cristo come tutto in tutti”. [4]
E nel XX secolo, C.S. Lewis (1898–1963) ha notoriamente osservato: “La vera prova di essere alla presenza di Dio è che o dimentichiamo totalmente noi stessi oppure ci vediamo come dei piccolo esseri insignificanti, ed è proprio meglio dimenticarci di noi stessi”. [5]

L’esempio di Paolo
La croce ha anche offerto le presupposizioni dei credenti del I secolo. Nell’anno 56 d.C. circa, l’apostolo Paolo ha scritto: “Io sono il minimo degli apostoli” (1 Corinzi 15:9) e più tardi ha aggiunto: “Sono il minimo fra tutti i santi” (Efesini 3:8). Poi, alla fine della sua vita, ha concluso: “Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo” (1 Timoteo 1:15). Notiamo il progresso in discesa: dall’ultimo degli apostoli, all’ultimo dei santi, all’ultimo dei peccatori. Paolo stava esagerando? No, era così che si sentiva.
Che cosa lo ha spinto a sentirsi così?
Come i santi che sono stati citati sopra, Paolo si è seduto ai piedi della croce e lì ha visto e considerato la santità di Cristo, la bellezza incontaminata delle perfezioni morali di Dio e la sua impareggiabile bontà. Egli ha visto anche ciò che la sua arroganza meritava, ed entrambe le cose lo hanno umiliato e lo hanno spinto a sentire i torrenti d’amore da parte di Dio per una persona così indegna di riceverli.

Conclusione
Coloro che hanno un grande rispetto ed un’alta considerazione di Dio vedono sé stessi in modo accurato, si sentono piccoli ed umili, ma quest’umiltà è la chiave per la loro esperienza effettiva dell’amore di Dio. Vivere in quest’amore è ciò che significa essere ripieni di tutta “la pienezza di Dio” (Efesini 3:19).
Quali occhiali culturali, dunque, stai indossando tu? In che misura l’arroganza del mondo moderno ti ha influenzato? Ti sta forse trattenendo dalla vera conoscenza di te stesso? Ti sta ostacolando nello sperimentare l’amore di Dio?
Noi scopriamo chi siamo davvero proprio ai piedi della croce. Il risultato non sarà egocentrico, non sarà repulsione o odio per sé stessi, né bassa autostima, sarà la pace con Dio e con gli altri esseri umani che sgorgano dall’umiltà. Significherà la fine del combattimento per meritare il favore di Dio; significherà amore, gioia e pace che provengono dalla conoscenza di Dio tramite Gesù Cristo e per la potenza dello Spirito Santo!

Note
[1] Brooks, David. The Road to Character (“La via al carattere” – Kindle Locations 245-257). Random House Publishing Group. Edizione Kindle.
[2] John Calvin, Institutes of the Christian Religion (“Istituti alla religione cristiana”) Libro 2.2.11
[3] Jonathan Edwards, The Works of Jonathan Edwards, vol. 1 (“Le opere di Jonathan Edwards” – Banner of Truth Trust, 1974), 297.
[4] C. H. Spurgeon, The Park Street Pulpit, Vol 2, pg 566-67 (“Il pulpito di Park Street” – ParkAlbany, OR, Ages Software, 1997).
[5] C. S. Lewis, Mere Christianity, (“Semplice Cristianesimo” – New York: Macmillan, 1960), capitolo 8.


William P. Farley è un pastore in pensione e fondatore di varie chiese. È stato sposato con la sua migliore amica, Judy, dal 1971. Hanno avuto cinque figli e ventidue nipoti. Egli è autore di sette libri, incluso Gospel-Powered Humility (“Umiltà potenziata dal Vangelo” – P&R), Gospel-Powered Parenting  (“Genitori potenziati dal Vangelo” – P&R), e Marriage in Paradise (“Matrimonio in Paradiso” – Pinnacle), Secret to Spiritual Joy (“Il segreto per la gioia spirituale” – Cruciform), Outrageous Mercy (“Misericordia reattiva” – P&R), e Hidden In the Gospel (“Nascosto nel Vangelo” – P&R). Egli pubblica regolarmente in www.WilliamPFarley.com.

Testo pubblicato originariamente sul sito di reformation21. Tradotto e riprodotto qui con l’autorizzazione da parte dell’editore Alliance of Confessing Evangelical. Il suo utilizzo totale o parziale è proibito in ogni forma previa richiesta e autorizzazione di SoliDeoGloria. Il contenuto del presente articolo non è alterabile o vendibile in alcun forma.
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