di James Montgomery Boice

“Giuseppe fu portato in Egitto; e Potifar, ufficiale del faraone, capitano delle guardie, un Egiziano, lo comprò da quegli Ismaeliti che ce l’avevano condotto. Il SIGNORE era con Giuseppe: a lui riusciva bene ogni cosa e stava in casa del suo padrone egiziano. Il suo padrone vide che il SIGNORE era con lui e che il SIGNORE gli faceva prosperare nelle mani tutto ciò che intraprendeva. Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e si occupava del servizio personale di Potifar, il quale lo fece maggiordomo della sua casa e gli affidò l’amministrazione di tutto quello che possedeva. Dal momento che l’ebbe fatto maggiordomo della sua casa e gli ebbe affidato tutto quello che possedeva, il SIGNORE benedisse la casa dell’Egiziano per amore di Giuseppe; la benedizione del SIGNORE si posò su tutto ciò che egli possedeva, in casa e in campagna. Potifar  lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe; non s’occupava più di nulla, tranne del cibo che mangiava. Giuseppe  era avvenente e di bell’aspetto”. Genesi 39:1-6

Durante gli ultimi trenta anni del diciannovesimo secolo, l’autore americano più popolare è stato Horatio Alger (1834-1899); egli ha scritto 109 libri che sono stati autenticati come suoi, e secondo delle serie ricerche e stime, sono state vendute circa trenta milioni di copie di questi suoi libri. Gli eroi del giovane Alger sono stati paragonati a quelli di Charles Dickens (1812-1870). Eppure Alger non è stato minimamente della portata e statura di Dickens come scrittore. I suoi personaggi sono tutti simili, mentre quelli di Dickens sono di vario tipo ed interesse come la vita stessa. Le storie di Alger hanno un’unica trama, mentre quelle di Dickens sono multiple e sorprendentemente complesse. Soprattutto, Alger non contempla nessuno dei grandi temi della responsabilità sociale che sono così apprezzabili nello scrittore inglese. Cos’è, dunque, che ha reso i libri di Horatio Alger così famosi e richiesti, come pure i suoi personaggi, per più di mezzo secolo? La risposta è: “il sogno americano”.
Il pensiero che trapela dietro questa espressione è stato il caposaldo di Alger (da questo tematica esce la trama di tutti i suoi libri): in America è possibile col semplice duro lavoro e con l’integrità personale rialzarsi da qualunque posizione sociale bassa in cui una persona potrebbe essere nata ad una posizione di influenza e ricchezza. I libri di Alger sono tutti libri caratterizzati dal passaggio dalla povertà alla ricchezza.

PROSPERITÀ PROVVEDUTA DAL SIGNORE
È probabilmente proprio l’aspetto del passaggio “dalle stalle alle stelle” che rende la storia di Giuseppe così attraente, ma c’è un’enorme differenza fra Giuseppe e gli eroi di Alger. Gli eroi di Alger fanno strada tramite coraggio e duro lavoro. Nel caso di Giuseppe, sebbene egli fosse certamente un buon lavoratore, l’enfasi principale della sua storia non è sul duro lavoro, quanto invece sul fatto che il Signore che egli serviva lo stava facendo prosperare. Questo è il tema dominante di Genesi 39, dove è ripetuto sette volte. Nel v.2 viene detto che nonostante il fatto che Giuseppe fosse stato portato in Egitto e venduto a Potifar, uno degli ufficiali del Faraone, “il Signore era con Giuseppe ed egli prosperò”. Il v.3 ci dice che il suo padrone vide che il Signore era con lui e che il Signore gli dava successo in ogni cosa che faceva; poi nel v.5 leggiamo che, dal momento che Potifar gli affidò la sua casa e la gestione di tutto ciò che possedeva, il Signore benedisse ogni cosa di quest’egiziano a motivo di Giuseppe e la benedizione di Dio era su tutto ciò che Potifar aveva. A questo punto interviene la storia della tentazione di Giuseppe da parte della moglie di Potifar e vediamo come egli fu falsamente accusato e poi ingiustamente imprigionato, ma nonostante queste grandi cattiverie, alla fine del capitolo il tema rimane precisamente lo stesso. I vv.20 e 21 dicono che mentre Giuseppe era lì in prigione, il Signore era con lui; poi il v.23 dichiara: “Il governatore della prigione non rivedeva niente di quello che era affidato a lui, perché il Signore era con lui, e il Signore faceva prosperare tutto quello che intraprendeva”.
Possiamo vedere la differenza fra questa e le storie di Alger. Giuseppe aveva successo non perché aveva salito la scala sociale con lavoro per passare, per così dire, dalle “stalle alle stelle”, anche perché in una primissima fase vediamo che avvenne proprio il contrario (era passato dalle ricchezze alla prigionia); egli ha avuto successo, proprio durante (e poi dopo) la sua situazione di prigionia, perché il Signore era con lui in ogni sua circostanza. È un aspetto della benedizione di Dio su Giuseppe il fatto che altri, specialmente Potifar, furono benedetti grazie a lui. Possiamo dire senza dubbio che la benedizione di Giuseppe è stato il motivo principale della loro prosperità dal momento che lui (almeno in quel periodo) non stava particolarmente prosperando.
Questo tema ha interessato molto Martin Lutero, poiché egli era convinto che le benedizioni del mondo non sono a motivo del mondo stesso, ma per amore del popolo di Dio che vi abita. Lutero mostrò questo nel personaggio di Labano, che, sempre in Genesi, confessò di aver prosperato grazie al fatto che la benedizione di Dio era su suo nipote Giacobbe: “Se ho trovato grazia agli occhi tuoi, rimani; giacché credo di indovinare che il Signore mi ha benedetto per amor tuo” (Genesi 30:27).
Lutero credeva che la Germania sarebbe stata in condizioni terribili se non fosse stato per il Vangelo che era stato recuperato durante il periodo della Riforma, ed affermò: “Il mondo non si può vantare neppure per un attimo di essere degno della sua vita fisica, ma solo che grazie al Vangelo, al battesimo ed al perdono dei peccati, Dio riversa abbondantemente ogni cosa anche sui nostri più terribili, malvagi e perversi nemici”. Lutero ha detto che il mondo non riconosce né crede questo, ma è interessante che almeno in questo caso, un incredulo ha creduto: Potifar. Egli si è trovato molto vicino alla situazione e si è reso conto personalmente che Dio era con Giuseppe ed era la sorgente del suo successo (v.3). In tal modo si può dire che la vita di Giuseppe ha portato lode a Jehovah da parte di un importante ufficiale in un reame pagano. La nostra vita ha avuto o ha attualmente lo stesso effetto sui non-credenti o pagani? Può avere anche l’effetto opposto; Paolo ha ricordato ai Giudei che a causa loro il nome di Dio veniva bestemmiato fra gli stranieri (Romani 2:24).

FAVORITO DA POTIFAR
Non solo Potifar notò che Giuseppe era benedetto e quindi lodò Dio grazie a lui, ma decise che dal momento che il Signore stava favorendo Giuseppe, allora sarebbe stata una cosa utile e favorevole anche da parte sua favorire Giuseppe. Il testo dice: “Il suo padrone vide che il Signore era con lui e che il Signore gli faceva prosperare nelle mani tutto ciò che intra- prendeva.Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e si occupava del servizio personale di Potifar”(vv.3-4). Secondo me questa è la situazione in cui Giuseppe si avvicina maggiormente ad essere una vera tipologia di Cristo, poiché si dice del nostro Signore, riguardo i suoi primi anni che crebbe in sapienza e statura, e in favore nei confronti di Dio e degli uomini (Luca 2:5). Si può notare che, come per Gesù, tutto questo è successo in un periodo di tempo lungo. Il riferimento a Gesù indica che Egli è cresciuto in sapienza e statura, oltre a crescere nel favore con Dio e con gli uomini. In Genesi la crescita è abilmente indicata con l’accumulo di riferimenti al successo di Giuseppe. Il procedimento è più o meno così: (1) Dio ha fatto prosperare Giuseppe quando era ancora un semplice schiavo; (2) Giuseppe si spostò alla casa di Potifar, forse perché condotto lì da un altro luogo quando scoprirono che Giuseppe faceva bene il suo lavoro; (3) Potifar, il padrone, notò che Dio era con Giuseppe; (4) Potifar lo promosse fino ad essere il suo assistente-amministratore personale e gli affidò responsabilità mettendo nelle sue mani la gestione della sua casa ed affari di famiglia; (5) adesso i suoi affari iniziarono ad andare benissimo, i suoi possedimenti prosperarono sotto la gestione di Giuseppe, incluse le questioni che riguardavano la sua casa e i suoi campi; (6) di conseguenza Potifar si ritirò da ogni gestione, dall’amministrazione di tutti i suoi affari e lasciò ogni cosa a Giuseppe. Quanto ci volle per lo sviluppo e la realizzazione di questo processo di riconoscimento e miglioramento? Dunque, Giuseppe aveva 17 anni quando fu venduto in schiavitù ed aveva 30 anni quando il Faraone lo promosse alla posizione speciale (Genesi 41:46) ed era stato in prigione per 2 anni prima che questo avvenisse (Genesi 41:1). Sottraendo 17 e 2 anni dai 30, vuol dire che ci vollero circa 11 anni per giungere a quella posizione, alla piena benedizione di Dio prima che Giuseppe fosse pienamente riconosciuto. Si tratta di un punto importante: molti giovani cristiani falliscono, si scoraggiano e perdono di vista le promesse di Dio (e a volte anche Dio stesso) per il fatto che suppongono che l’avanzamento derivante dalla benedizione di Dio deve arrivare velocemente; certamente a volte questo succede così, a volte Dio ci fa avanzare subito, almeno tanto velocemente quanto ci aspetteremmo e saremmo capaci di apprezzare, senza che il successo ci vada alla testa e ci guidi fuori strada, ma di norma il successo impiega del tempo per arrivare e noi non dobbiamo essere inutilmente impazienti. Questo è il motivo per cui dobbiamo avere chiare e giuste le nostre priorità. Notiamo che sia nel caso del Signore Gesù Cristo che nel caso di Giuseppe il favore di Dio viene ottenuto prima del favore umano. L’approvazione umana e l’avanzamento che l’accompagna spesso sono cose buone e certo sono cose da essere desiderate, ma non sono buone se sono ottenute prima del favore di Dio o addirittura senza di esso. La prima cosa che dobbiamo fare è di impegnarci a piacere a Dio ed essere da lui benedetti, più di ogni altra cosa. A volte questo ci produrrà delle difficoltà, delle attese, come è successo nel caso di Giuseppe, in seguito alle avance e tentazioni portate dalla moglie di Potifar. Una volta un capo non-salvato ha licenziato la sua segretaria perché si era rifiutata di scrivere delle lettere che dicevano che della merce era stata spedita quando non era vero, ma poi l’ha riconvocata e ripresa al lavoro affidandole un lavoro di gestione e grande responsabilità economica, un lavoro in cui era necessario avere una persona di integrità ed onestà! La conclusione è che dobbiamo prima di tutto dedicarci a servire Dio, e dobbiamo essere pronti a farlo per tutta la vita.

SERVIZIO FEDELE E DIFFICILE
Quello che emerge da questo è un approccio cristiano al successo in cui noi, dobbiamo per prima cosa compiacere a Dio e cercare la sua benedizione ed essere pronti a farlo per la nostra vita, non solo per un po’ di tempo. Non dobbiamo però pensare che il nostro servizio sia solo qualcosa di verticale, rivolto solo a Dio, ed ancora meno che sia qualcosa di “spirituale” o aleatorio. Il servizio a Dio si deve vedere in modi pratici. È evidente in questi versetti che, qualunque cosa faceva Giuseppe, certamente non trascurava gli interessi del suo padrone ed ha lavorato con impegno e zelo per assicurarsi che i suoi interessi fossero soddisfatti in modo abbondante. In altre parole, Dio ha benedetto Giuseppe usando il suo duro lavoro ed il suo impegno.
In che modo Giuseppe giunse alla posizione che poi in seguito ha occupato? Possiamo immaginare che all’inizio non è partito con una posizione vantaggiosa o favorevole; non conosceva la lingua egiziana né le loro abitudini o i loro modi di fare. La maggior parte del commercio, dell’arte, della produzione e della medicina degli egiziani saranno state cose completamente o per lo più nuove per lui. Che cosa fece? Alcuni schiavi avranno insistito di non saperne nulla, pensando che nell’indicare e mostrare di non comprendere o conoscere tali cose, non sarebbero stati incaricati di farle. Molto probabilmente, però, Giuseppe non fece così, non fu questo il suo modo di reagire: invece di disinteressarsi, invece di “lavarsi le mani” per delle nuove situazioni, evidenziando la sua mancanza di conoscenza e cercando di lavorare ed impegnarsi il meno possibile, Giuseppe si dedicò ad imparare la lingua, a diventare abile negli scambi e nel commercio. Certo ci saranno volute lunghe ore di dedicazione fatte con sincera e seria passione, ma Giuseppe fu costante e perseverante. Giuseppe non poteva essere stato frettoloso in questo impegno. Se fosse stato qui ai nostri giorni, lo avremmo trovato a fare gli straordinari, a lavorare ore extra ed a fare dei corsi di avanzamento a casa per poter espandere le sue conoscenze e capacità.
Gli impegni ed il lavoro straordinario sono diventati un’abitudine che deve essere stata caratteristica e motivazione della promozione ed avanzamento di Giuseppe. Lutero ha indicato che Giuseppe deve essere stato il primo ad alzarsi la mattina e deve aver trascorso le prime ore della mattina a pianificare le cose da fare ed a distribuire i compiti alle persone incaricate secondo le necessità. Giuseppe non aspettava che la servitù portasse a termine i compiti senza la sua supervisione, ma dopo che i loro compiti erano stati portati a termine, Giuseppe deve avere avuto l’abitudine di controllare il loro operato per assicurarsi che ogni cosa era stata fatta in modo appropriato. Lutero ha detto: “Di conseguenza, Giuseppe non solo era buono e pulito, e non solo si rivolgeva diligentemente in preghiera a Dio a favore del suo padrone, del re e dell’intera terra dell’Egitto, ma era anche un supervisore vigilante e buon amministratore dei compiti domestici”.
Non è forse questa anche la nostra responsabilità? Paolo ha scritto ai comuni operai-lavoratori dei suoi giorni di ubbidire ai loro padroni e capi con rispetto e timore, con sincerità di cuore, proprio come se stessero ubbidendo e servendo Dio. L’esortazione era ad ubbidire non solo per ottenere il loro favore mentre li osservavano al lavoro, ma in qualità di servi di Cristo, facendo la volontà di Dio con tutto il cuore, esortazione a servire di buon cuore, in sincerità, come se in quel momento si stesse servendo direttamente il Signore, non gli uomini, sapendo che il Signore ricompenserà ognuno per qualunque cosa buona che avrà fatto, che si tratti di un padrone o di un servo, di uno schiavo o di un libero (vedere Efesini 6:5-8). Questo brano descrive i doveri degli impiegati, perché dice a quelli che lavorano per altri che devono farlo come se stessero lavorando per Cristo e dovessero dar conto a lui (e, in un certo senso, è così) e li invita a fare tutto il possibile per portare vantaggio e prosperità ai loro capi, padroni e aziende lavorative. È anche un messaggio per i manager, affinché abbiano fiducia, onorino e rispettino, offrendo avanzamento secondo i meriti a coloro che lavorano fedelmente. In questo Potifar fu ammirevolmente saggio, mentre molti dei datori di lavoro di oggi (anche cristiani) agiscono da veri stolti.

DIO O UOMO
Favorito da Dio e dall’uomo! Questa era la storia di Giuseppe per i primi undici anni della sua vita in Egitto, ma l’attenzione alla storia intera ci obbliga a riconoscere che le circostanze di Giuseppe non sono andate avanti sempre lungo lo stesso corso; Giuseppe fu molto apprezzato da Potifar. Purtroppo, però, era molto apprezzato anche dalla moglie di Potifar, ed i piani che la donna aveva per lui non erano secondo la volontà di Dio, né secondo quella di suo marito. Fino a questo punto aveva messo sempre Dio al primo posto e questo lo aveva portato a ricevere il favore dinanzi agli uomini; ma adesso troviamo all’improvviso che si trattava di scegliere se piacere a Dio o all’uomo, e Giuseppe, come ogni vero uomo di Dio dovrebbe fare, determinò di camminare con Dio, a qualunque costo. Questo ci fa pensare al patriarca Enoc, la cui storia è raccontata in tre diversi brani della Bibbia: Genesi 5:21-24; Ebrei 11:5 e Giuda 14-15. In Giuda leggiamo che Enoc era un predicatore che viveva ai tempi prima del diluvio e che predicava contro l’empietà della sua generazione. “Anche per costoro profetizzò Enoc, settimo dopo Adamo, dicendo: ‘Ecco, il Signore è venuto con le sue sante miriadi per giudicare tutti; per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà da loro commesse e di tutti gli insulti che gli empi peccatori hanno pronunciati contro di lui’”. Il brano dice che Enoc aveva un messaggio di giudizio che si focalizzava sull’empietà dei suoi contemporanei; il testo usa la parola “empi” o “empietà” quattro volte ed era un messaggio veritiero dal momento che è riportato che quella fu una cultura particolarmente malvagia. Anche se veritiero però il messaggio non fu molto apprezzato. Genesi ci indica il segreto del successo di Enoc in un periodo così difficile, ed in questo ci fa pensare a Giuseppe. In Genesi 5:21-24 leggiamo: “Enoc visse sessantacinque anni e generò Metusela. Enoc, dopo aver generato Metusela, camminò con Dio trecento anni e generò figli e figlie. Tutto il tempo che Enoc visse fu di trecentosessantacinque anni. Enoc camminò con Dio; poi scomparve, perché Dio lo prese”. Questi versetti usano due volte la frase “Enoc camminò con Dio” sottolineando, quindi, ciò che era ovviamente la caratteristica principale della sua vita lunga e fedele. Era un’epoca in cui quasi nessun altro camminava con Dio, fra cui certamente non camminavano con Dio i suoi empi cugini (Irad, Meuiael, Metusael, Lamec e i suoi figli) di cui leggiamo in Genesi 4. Come Giuseppe, Enoc visse in un periodo ed in un luogo in cui il peccato era in fase ascendente e le persone dicevano senza dubbio: “Perché noi dovremmo differenziarci dagli altri? Perché voi dovreste fare o pensare di essere migliori di noi? Scendete dal piedistallo e comportatevi come si comportano tutti”, ma Enoc non si piegò a quest’argomentazione, perché, come Giuseppe, camminava con Dio e questa era l’ingrediente principale della sua vita. Finché c’era lui che camminava con Dio, non tutti erano caratterizzati dal peccato: finché lui stava dalla parte della giustizia, ci poteva essere anche qualcun altro che poteva seguiva il suo esempio. È a motivo dell’ultimo brano su Enoc che, però, ho deciso di rivedere la sua storia; la troviamo in Ebrei 11:5: “Per fede Enoc fu rapito perché non vedesse la morte; e non fu più trovato, perché Dio lo aveva portato via; infatti prima che fosse portato via ebbe la testimonianza di essere stato gradito a Dio”. Enoc fu gradito a Dio! E così pure Giuseppe, anche quando questo significava non piacere a coloro che si trovavano attorno a lui. Finchè io e voi ci troveremo in questo mondo, dobbiamo servire prima Dio, sperando che nel servire, piacere a lui e ricevere le sue benedizioni, questo porterà a piacere anche alle persone e ad avere il loro favore. Giuseppe ha seguito questo corso ed ha ottenuto questo risultato per undici anni; per la maggior parte di noi questa storia dura una vita intera, ma vogliamo osservare che vi sono momenti in cui questo non è possibile: non è possibile servire e piacere sia a Dio che alle persone, e quando ci troviamo di fronte a questo bivio, dobbiamo avere chiaro in mente che siamo chiamati a piacere prima a Dio e, quindi, scegliere su questa base, per compiacere lui, qualunque siano le conseguenze. Senza dubbio Enoc fu disprezzato dai suoi contemporanei e certamente ridicolizzato, Giuseppe fu ingiustamente maltrattato e immeritatamente imprigionato, per la durata di circa due anni fu dimenticato; ma entrambi questi uomini rimasero fedeli a Dio e al momento giusto furono rivendicati. Abbiamo bisogno di una generazione di uomini e donne così oggi, abbiamo bisogno di cristiani che servono l’umanità come servono Gesù, ma che servono Gesù per primo, al di sopra di ogni altro e che seguono le sue indicazioni per ricevere la sua approvazione: “Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore” (Matteo 25:23).


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