di James Montgomery Boice

“Potifar lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe; non s’occupava più di nulla, tranne del cibo che mangiava. Giuseppe era avvenente e di bell’aspetto. Dopo queste cose, la moglie del padrone di Giuseppe gli mise gli occhi addosso e gli disse: ‘Unisciti a me!’ Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: ‘Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella casa e mi ha affidato tutto quello che ha. In questa casa, egli stesso non è più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?’ Benché lei gliene parlasse ogni giorno, Giuseppe non acconsentì a unirsi né a stare con lei. Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro; lì non c’era nessuno della gente di casa; allora lei lo afferrò perla veste e gli disse: ‘Unisciti a me!’ Ma egli le lasciò in mano la veste e fuggì”. Genesi 39:6-12

Charles Durham, un pastore del Kansas, inizia il suo libro “Temptation: Help for struggling Christians” (“Tentazione: Aiuto per Cristiani in difficoltà”) con un’interessante illustrazione. Varie centinaia di anni fa, nell’isola di Cape Hatteras, sulle sponde della Carolina del Nord, c’erano degli uomini il cui compito era di fare in modo che le imbarcazioni si avvicinassero alla terraferma e si arenassero sulle sponde nei mari attorno all’isola. Questi uomini erano “recuperatori” che si guada- gnavano da vivere raccogliendo parti del carico da tali navi. Con una lanterna piazzata sulla fronte con qualche fascia, questi uomini delle lanterne vivevano in un villaggio accanto che portava il nome delle loro caratteristiche (uomini delle lanterne – villaggio degli uomini delle lanterne) e camminavano avanti ed indietro, su e giù, continuamente, fra le coste sul mare. Intanto nella notte, in mare, lungo le coste atlantiche, le navi alla ricerca di un passaggio sicuro attraverso le isole, travisavano quelle luci mobili pensando fossero luci provenienti da qualche altra nave che aveva trovato passaggio sicuro, per cui si avvicinavano troppo alla terraferma e si andavano ad arenare sulle Diamond Shoals. La mattina arrivavano i recuperatori per “recuperare” tutto il legname possibile, che poteva servire per la costruzione di nuove case, utensili per le cucine ed eventuale denaro. Certo, non possiamo dire che era un lavoro molto degno, ma era fiorente, infatti ancora oggi ai visitatori di questi villaggio vengono mostrate le case costruite ed ammobiliate con materiali presi o “recuperati” dalle più di duemila e trecento navi che si sono andate ad arenare o infrangere contro queste coste, per caso o per inganno. Quando le persone sentono inizialmente parlare di questi “recuperatori” rimangono scioccate ed adirate, ma lo sarebbero molto di più se realizzassero che anche noi siamo costantemente confrontati da “recuperatori” spirituali ancora più maliziosi e furbi.
Tradizionalmente la Chiesa ha parlato di tre tipi di “recuperatori”, “smontatori” o “distruttori”; il primo è il “mondo”, che non è il globo terrestre e neppure le persone che in esso abitano, quanto piuttosto il sistema del mondo, inclusi i suoi valori e la sua etica morale, ed è proprio contro questo tipo di “recuperatore” spirituale che l’apostolo Paolo ci mette in guardia in Romani 12:2: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà”. Il secondo tipo di “recuperatore” è la “carne”, che ci tenta pericolosamente ad essere indulgenti verso quelli che potrebbero anche essere appetiti giusti, naturali e normali. Ma noi siamo chiamati a tenere a freno la carne. L’ultimo di questi tre “recuperatori” si nasconde dietro gli altri due e li usa a suo favore. Si tratta del diavolo, il grande nemico della nostra anima. L’apostolo Pietro lo descrive come “leone ruggente alla ricerca di qualcuno da poter divorare” (vedere 1Pietro 5:8), e Pietro ci dice che dobbiamo resistergli, stando bene saldi nella fede, sapendo che i nostri fratelli e le nostre sorelle nel mondo attorno a noi devono affrontare e stanno affrontando lo stesso tipo di sofferenze (vedere v.9).

UNA TENTAZIONE COMUNE
Quest’ultimo versetto è particolarmente importante se parliamo di tentazione, perché una delle tecniche del diavolo è di convincere l’oppresso che la tentazione che sta affrontando è qualcosa assolutamente senza paragoni nell’intera storia della razza umana. Il diavolo dirà: “Nessuno è stato mai tentato come te, nel caso si sarebbero arresi già da molto tempo e se sapessero quello che ti trovi ad affrontare, certamente comprenderebbero. Nessuno ti condannerà per quello che senza dubbio sei obbligato a fare”. Questo è il diavolo che parla, non Dio! La Parola di Dio indica questo consiglio come menzogne e colui che le offre come il menzognero ed ingannatore per eccellenza (1Giovanni 2:22). Qualunque tentazione ci troviamo ad combattere viene affrontata anche dai nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, ed in più dobbiamo anche ricordare che nessuna tentazione è impossibile da vincere, come leggiamo in 1Corinzi 10:13:“Nessuna tentazione vi ha colti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, affinché la possiate sopportare”.
Ecco dove l’episodio della tentazione su Giuseppe da parte della moglie di Potifar parla così potentemente: poiché ci sono diverse riflessioni che possiamo fare vedendo quest’incontro registrato in soli sei versetti di Genesi 39, ma certamente un insegnamento che ricaviamo è che la tentazione è qualcosa di comune a tutta l’umanità. Io e voi non abbiamo niente che non sia già stato affrontato e superato da altri prima di noi, da migliaia, forse milioni di membri del popolo di Dio. La nostra chiamata non è di scusare la nostra disubbidienza o il nostro fallimento, quanto piuttosto è di superare la tentazione, vincerla, come ha fatto Giuseppe. Quest’incidente nella vita di Giuseppe è così comune che non è troppo suggerire che sia stato probabilmente rappresentato migliaia di volte in innumerevoli posti solo in queste ultime settimane, forse anche da persone che conoscete personalmente. Giuseppe aveva raggiunto una posizione di preeminenza nella casa di Potifar e dopo un po’ fu notato anche dalla moglie di Potifar. Questa donna era una sorta di “accalappiatrice” pronta a cercare ed afferrare eventuali prede per il proprio piacere, indipendentemente dal fatto che possano essere persone già sposate o possano avere degli standard morali da voler seguire. Questa donna era concupiscente, poiché aveva considerato Giuseppe in modo immorale (v.7), non aveva vergogna dal momento che lo avvicinò e tentò di adescarlo direttamente, chiedendogli di unirsi a lei (v.7). Era anche persistente e programmatrice, visto che ripeté il suo invito più di una volta ed organizzò anche di fare in modo che, alla fine, la sua casa fosse vuota, senza il resto della servitù (vv.11-12). Giuseppe, però, non cadde in tentazione, le resistette, prima con le parole e poi con una vera fuga fisica. In questa cosa egli seguì l’ingiunzione che Paolo avrebbe dato più avanti, a quelli dei suoi giorni, quando disse: “Fuggite la fornicazione” (1 Corinzi 6:18).

UNA FORTE TENTAZIONE
Nei seguenti due capitoli prenderemo in considerazione il segreto del successo di Giuseppe su questa tentazione e poi che cosa fare se, in seguito alla tentazione, cadiamo in peccato. Prima di considerare la vittoria di Giuseppe, però, dobbiamo capire che si trattava di una tentazione molto forte. Ci sono vari fattori che l’hanno resa particolarmente delicata e pericolosa, e che poi hanno dato più significato alla sua vittoria. Per prima cosa, era una tentazione “naturale”, nel senso che faceva appello ad un desiderio ed appetito giusto e normale. Esiste una importante distinzione a questo punto fra le tentazioni che sono naturali nel senso che fanno appello ad un appetito comprensibile e proprio, e quelle che, invece, sono innaturali. La tentazione ad uccidere qualcuno non è naturale; anche se è il risultato naturale dell’ostilità ed odio verso alcuni che giace non molto sotto la superficie esteriore di ogni cuore umano. L’ostilità e l’odio, però, non sono in sé cose proprie né naturali, sono il pervertimento a causa del peccato di ciò che noi siamo chiamati ad essere. In questo senso, anche il rubare non è cosa naturale, nonostante il fatto che per alcuni peccatori è un’azione alquanto spontanea e naturale. Lo stesso vale per il dare falsa testimonianza e la mancanza di amore per il Signore nostro Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, l’anima e la forza nostra. Come direi io, però, la tentazione a commettere peccati sessuali (come il caso in discussione) è naturale nel senso che fa appello ad un appetito o desiderio giusto, appropriato e persino dato da Dio. Notiamo però questo: anche se si trattava di qualcosa di naturale, in questo caso non era la cosa giusta da fare, ed arrendersi a questa tentazione significava peccare, perciò Giuseppe ha fatto la cosa giusta scegliendo di fuggire. Un decennio fa o poco più, quando la cosiddetta filosofia dei playboy era agli albori, vi fu un dibattito a Lubbock, nel Texas, fra William S. Banowsky, allora ministro della Broadway Church of Christ (Chiesa di Cristo di Broadway) e Anson Mount, uno degli editori fondatori nonché amministratore degli affari pubblici di Playboy. Nel corso del dibattito Mount, dalla parte di Playboy, per motivi di pubblicità e per diffondere opposizione alla religione, rivelò delle cose molto interessanti riguardo la filosofia Playboy: disse che gli uomini sono capaci di malvagità ma sono fondamentalmente buoni e disse che il piacere è qualcosa di buono per definizione e che il benessere degli esseri umani e la loro felicità sono il bene supremo. Al di sopra di ogni altra cosa, i suoi punti erano che il sesso è qualcosa di naturale e quindi è buono fare sesso quasi in ogni condizione. Mount era contro il Legalismo, il Puritanesimo e gli standard morali oggettivi. Tutte queste erano forse le cose che venivano dette anche a Giuseppe dalla signora Potifar, ma pure se quest’ultima non lo disse, Giuseppe potrà certo aver considerato da solo questi pensieri: “Giuseppe, ormai hai ventisette anni, non sei più un ragazzino e certamente hai gli appetiti di un uomo, non più di un ragazzo. Sei stato uno schiavo per dieci anni, non sei sposato, sei solo; non hai forse il diritto di avere questo rapporto sessuale? Questa è un’ottima opportunità, una possibilità invidiabile; forse Dio stesso ti sta dando questa possibilità. Certamente non può essere qualcosa che non è buona se ti farà stare bene e non c’è cosa più naturale di questa: che tu possa avere un rapporto con una donna così attraente ed infatuata di te!” Il problema di queste argomentazioni è che mettono assieme delle cose buone e se ne trae forza per giungere a delle conclusioni per combattere altre cose buone, proprio come ha cercato di fare il diavolo quando ha tentato Gesù. Stabiliscono un istinto naturale in contrapposizione alla purezza ed alla volontà rivelata da Dio. Il sesso è cosa naturale ma non deve essere qualcosa da consumare in qualunque circostanza o con qualunque partner, è un dono da essere gustato all’interno del matrimonio, quando diventa come cemento per unire e rafforzare il matrimonio e per permettere a due persone di crescere nel pieno dell’impegno reciproco. Secondo, la tentazione che Giuseppe si trovò ad affrontare era forte perché sopraggiunse quando egli era lontano da casa. Un commentatore scrive: “Una buona casa e famiglia agisce da freno e protezione per il comportamento dei figli, ma una volta che essi si trovano lontani da casa, l’emancipazione può portare a gettare via i freni e le precauzioni e soccombere più facilmente alle attrazioni peccaminose della cultura malvagia, specialmente se il senso etico è puramente esteriore e religioso o convenzionale. La copertura decorativa della civilizzazione è così sottile che si è visto che i viaggiatori a sole dieci miglia in mare, lontani dagli altri gettano già via ogni freno per indugiare e lasciarsi andare ai loro appetiti immorali”. Come mai dei giovani cristiani professanti iniziano a frequentare l’università, vanno a vivere fuori casa e ben presto cominciano anche a convivere con un/una partner, cosa che non avrebbero mai fatto prima, mentre erano a casa? Come mai una persona in viaggio si arrende a fare cose a cui avrebbe resistito nel suo paese? Come mai i cristiani sono pronti a compromettersi in parole ed azioni durante le feste in modi in cui non lo farebbero nelle circostanze di tutti i giorni? Il motivo è la bassa stima ed idea che gli individui hanno di Dio; essi possono professare di credere in Dio e poi credono di essere dei buoni cristiani (o almeno normali), ma ciò che in realtà hanno è una visione tribale di Dio: pensano a Dio come a un dio della loro famiglia o cittadina locale (ma distante) e del loro lavoro giornaliero, e non come all’Iddio uni- versale di tutti i tempi e tutti i posti. Per essere più chiari, Dio è altrettanto presente alle feste, quanto lo è in ufficio, altrettanto presente all’università, camera di college o monolocale in affitto lontano da casa, quanto lo è nella dimora di famiglia; è altrettanto presente in una casa di prostituzione, quanto lo è in un locale di chiesa. Dio è onnipresente, presente in ogni posto!
Giuseppe aveva un Dio così ed è questa verità, al di sopra di tutto il resto, che lo ha salvato nel giorno malvagio. A lui non interessavano i cosiddetti dèi degli Egiziani, egli serviva Jehovah! Per questo motivo egli replicò alla signora Potifar “Come potrei fare una tale cosa malvagia ed un tale peccato contro Dio?” (v.9).
Il terzo fattore che rese questa tentazione così forte per Giuseppe è che essa proveniva da una donna così importante; era una donna senza Dio, certo, e malvagia. Se fosse riuscita a sedurre Giuseppe, probabilmente non sarebbe stata né la prima, né l’ultima delle sue scappatelle extra matrimoniali, ma sebbene senza Dio e malvagia, nondimeno la signora Potifar era molto importante secondo il punto di vista e la considerazione del mondo, e per Giuseppe sarebbe stato molto utile come alleata, se egli avesse accettato, invece che come nemica da essere temuta in seguito ad un rifiuto.
F.B. Meyer esprime questo fatto nel seguente modo: “Sembrava cosa essenziale per Giuseppe rimanere in armonia con la moglie del suo padrone, perché compiacere a lei significava assicurarsi un buon avanzamento ed una buona carriera, mentre contrariarla significava trovarsela contro e vedere le sue speranze infrante. In tali circostanze, quanti avrebbero detto che sarebbe stato giusto arrendersi solo per un po’ per guadagnarsi un’approvazione ed influenza che sarebbero ritornate molto utili in seguito per raggiungere buoni risultati! Un atto di omaggio al diavolo avrebbe prodotto un potere tale da rovinare l’uomo che lo compie. Cedere così alla tentazione, con questi ragionamenti per fini utilitaristici, dà spazio ad un pensiero ingannatore nel cuore della persona; è questa politica e diplomazia che guidano molti a dire, quando tentati da un padrone, una padrona, un capo o un cliente a fare del male: “Che mi importa, non sono io che lo voglio, mi sono dovuto arrendere alla loro volontà perché il mio lavoro lo richiede, per guadagnarmi da vivere e perché altrimenti sarebbe stata un’offesa”. Meyer conclude: “L’unica armatura contro questo fare da politicanti è la fede che ha lo sguardo puntato al futuro e crede che alla fine sarà cosa migliore aver fatto le cose giuste ed aver atteso la rivendicazione e benedizione di Dio. Fu cosa buona per Giuseppe non arrendersi e cedere ai suggerimenti della diplomazia; se l’avesse fatto avrebbe forse acquisito un po’ più di influenza nella casa di Potifar, ma certamente questa non sarebbe durata a lungo, e non sarebbe mai diventato primo ministro d’Egitto, o non avrebbe avuto una sua propria casa, o non avrebbe portato i suoi fratelli a ricevere la benedizione del loro padre morente”. Quarto, Giuseppe subì la tentazione dopo un’importante promozione, non mentre stava lottando per raggiungere la vetta, salendo piccoli scalini dal livello di nuovo e misero schiavo fino a diventare attendente personale di Potifar ed amministratore degli affari. Avvenne dopo, quando avrebbe potuto dire a sé stesso: “Giuseppe, ormai hai raggiunto il top, tutto il tuo duro lavoro è stato ricompensato. Ora è il momento di riposarti e gustare i frutti della posizione che hai conquistato”. Certamente egli avrebbe potuto dire che l’interesse della moglie del suo padrone era naturale e ben meritato a quel punto, a motivo del suo avanzamento. Attenzione alla tentazione quando pensate di aver raggiunto qualche meta! La tentazione raggiunse Davide quando era nella sua cinquantina, dopo che aveva unificato il regno, allargato i confini e portato pace a molte delle regioni attorno. E il nostro Signore? Quando fu tentato? Fu subito dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni ed aver sentito la voce dal cielo dire:“Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto” (vedere Matteo 3:17). Il diavolo ha persino usato quella testimonianza divina nella sua tentazione, poiché ha cominciato col gettare dubbio proprio sulle parole che il Signore aveva appena sentito: “Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pane” (Matteo 4:3 – mia enfasi).
State attenti alla tentazione quando avete riportato qualche vittoria! State attenti quando avete appena guidato qualcuno al Signore! State attenti quando avete portato a compimento qualche compito importante o difficile e vi state prendendo qualche necessario e ben meritato riposo. Paolo non considerava di aver completato la sua battaglia spirituale finché non  fu giunto al momento del martirio: “Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione” (2 Timoteo 4:7-8).
Quinto, la tentazione era forte perché arrivò a Giuseppe ripetutamente, e questa è una delle strategie principali del diavolo: attaccare ripetutamente, come ha fatto anche con Gesù. Satana sa che noi siamo deboli; se siamo cristiani però abbiamo una certa conoscenza di ciò che è giusto e ciò che non lo è, ed in più abbiamo la presenza dello Spirito Santo dentro di noi che ci mette in guardia contro i tentativi del diavolo e ci aiuta a voltare le spalle al male. Quando sopraggiunge una tentazione spesso noi reagiamo abbastanza appropriatamente, dicendo: “Questa è una violazione degli standard indicati dalla Parola di Dio, non potrei farlo come cristiano”. Poi però il diavolo tenta di nuovo, usando varie argomentazioni per convincerci, e per lo più riesce a farlo, a stancarci e farci cedere. Questo è quello che ha cercato di fare la moglie di Potifar nel caso di Giuseppe, lo ha attaccato ripetutamente, chiedendogli di trascorrere del tempo con lei, proponendosi a lui svariate volte. Alexander Pope ha descritto bene questo fatto quando ha scritto: Il vizio è un mostro di così orribile fattura, che per essere odiato basta solo vederlo, eppure, a vederlo troppo spesso e diventare familiari col suo volto per prima cosa lo sopportiamo, poi lo commiseriamo, poi l’abbracciamo. L’ultimo fattore che rese forte questa tentazione per Giuseppe era che rappresentava per lui un’opportunità perfetta. Il testo dice che sopraggiunse in un giorno in cui egli si stava occupando dei suoi doveri nella casa. In casa c’era soltanto lui, e la signora Potifar.
“Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro; lì non c’era nessuno della gente di casa; allora lei lo afferrò per la veste egli disse: ‘Unisciti a me!’ Ma egli le lasciò in mano la veste e fuggì” (vv.11-12). Molti sono caduti nel peccato perché esso è sopraggiunto quando sembrava non ci fosse nessuno in giro e quando le circostanze, come diremmo, erano favorevoli.“Nessuno lo saprà”, dice a sé stesso il peccatore. “Ho fatto sempre la volontà di Dio, per molto tempo; che differenza fa un piccolo passo sbagliato, poi mi rimetto in linea e nessuno saprà mai niente di questo piccolo errore… passerà inosservato, lo saprò solo io!” Nessuno? Nessuno, eccetto la persona con cui si pecca, che potrà parlarne con altri, e spesso lo fa, e poi, prima di tutto, Dio, che non prenderà il colpevole per innocente, che non considererà senza colpa coloro che peccano contro di lui!

TUTTO O NIENTE
Per coloro che stanno affrontando una tentazione così o tentazioni simili vorrei dire di non aspettare per risolvere questa difficoltà, risolvetela ora! Cosa dovete fare? Giuseppe fece alcune cose, ma in ultima analisi, essendo falliti altri tentativi di tenere a freno la donna, Giuseppe fece quello che dovrebbe sempre essere fatto di fronte alla tentazione del peccato della carne: fuggì da esso. Egli si lasciò la veste alle spalle e corse fuori dalla casa. Non c’era una soluzione più facile, non c’era altra soluzione, aveva già cercato di parlare con la donna, spiegare e ragionare, senza risultato; aveva cercato di evitarla, ed anche questo era stato invano. Ora era in una situazione in cui non c’erano più mezze misure: era di fronte al “tutto o niente” e Giuseppe fu pronto a perdere tutto, scegliendo la via che portò alla prigione, piuttosto che quella che portava al peccato. La Bibbia dice che Giuseppe lasciò la veste in mano alla donna e se ne scappò da quel luogo. Nessun altro lo avrebbe fatto uscire da quel luogo; se voleva rimanere puro, doveva scappare via con le sue gambe, di sua volontà, e lo fece! Questo è il motivo per cui ancora oggi leggiamo la sua storia: possiamo imparare da lui e lo ammiriamo, mentre così tante altre persone, che hanno avuto simili situazioni con l’opportunità di fuggire, hanno purtroppo seguito la via del mondo, e sono state dimenticate. Se voi vi trovate nella situazione di Giuseppe, seguite il suo esempio, a dispetto del costo: fuggite la fornicazione, scegliete Dio e rimanete saldi nella giustizia.


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